In questo mondo segnato da catastrofi naturali continue e da inquinamento massiccio portare avanti una moda “sprecona” non è nell’interesse del pianeta e degli stessi brand. Il ciclo di un prodotto nel sistema capitalistico è sempre più inceppato. La politica dell’abbigliamento usa e getta ci ha rovinato. I consumatori cercano da qualche anno indumenti di lunga durata e puntano quindi sulla qualità. L’ecomoda soddisfa proprio questa esigenza.
La sostenibilità si inquadra in un sistema autosufficiente in grado di restituire all’ambiente le risorse tolte. L’etica del suo operato permette alle persone che lavorano alla base della catena produttiva di vivere con dignità senza essere sfruttate.
Nel corso dell’ultimo decennio sono fiorite diverse importanti realtà nel commercio equo-solidale, nell’ecologia, nel riciclo e nel redesign.
Il commercio equo-solidale è organizzato dalle ONG (Organizzazioni Non Governative) che propongono prodotti etnici artigianali aiutando le comunità locali ad autosostentarsi. El Naturalista è una delle marche spagnole che rientra in questa categoria. Usano materiali biodegradabili e riciclabili e assicurano una giusta retribuzione ai dipendenti. I suoi modelli tipici, in cui vi siete di sicuro imbattuti, sono le borse a forma di foglia, scarpe alla bebè dalle impunture a spirale e gli stivaletti da elfo della foresta.
Nell’ambito dell’ecologia, diverse case di moda e stilisti si sono dati alla sperimentazione su fibre tessili come la canapa, il bambù, la soia, le alghe marine, le ortiche. Duedilatte, duo pisano di professioniste della moda, produce t-shirt in fibra di latte. Grazie al potere della bioingegneria i tessuti si differenziano in latte intero, latte parzialmente scremato, crema di latte e latte di riso.
Il riciclo è possibile anche per l’abbigliamento integrando il principio della Slow Fashion che ricrea abiti completamente daccapo. TRAIDremade è un negozio di beneficenza inglese che ha ricucito e rimesso a nuovo quei capi che presentavano strappi e macchie. Dal 2000 è stato coinvolto in progetti di sviluppo sociale e ambientale, migliorando le condizioni lavorative di 650.000 lavoratori e rimuovendo i bambini dallo sfruttamento lavorativo.
Nel nostro Paese l’ambasciatrice della moda etica e sostenibile è Marina Spadafora, stilista di Auteurs du Monde (Altromercato), che ha collaborato con grandi firme come Salvatore Ferragamo, Prada e Miu Miu. Suo è il patrocinio dell’evento Fashion Revolution Italia che ricorre il 24 Aprile di questa settimana per sostenere un’industria della moda più umana.
La stilista internazionale simbolo della moda eco-sostenibile di lusso è Stella McCartney, figlia di Paul McCartney. Si è schierata contro la crudeltà sugli animali e per le sue collezioni non utilizza cuoio, pelle e pelliccia ma solo fibre naturali e biologiche.
Sempre più catene di abbigliamento dedicano collezioni a questo tipo di moda come H&M e la sua Conscious Collection.
Anche nello star system si sta acquisendo una certa presa di coscienza del problema. Livia Firth, attivista dell’ecomoda e moglie di Colin Firth, ha fondato nel 2009 la Green Carpet Challenge (GCC – La Sfida del Tappeto Verde) con la giornalista inglese Lucy Siegle. Col passare degli anni l’iniziativa sta accrescendo il suo feedback tra i divi e ha avviato collaborazioni con cinquanta fashion designer di prestigio.
Infine si sta svolgendo proprio in questa settimana la Eco Fashion Week (19-24 Aprile) a Vancouver in Canada con sfilate e conferenze sul fatto a mano e sul lavoro equo.
Contrariamente al passato il settore della moda sostenibile è in continua evoluzione e destinato a crescere in futuro in maniera esponenziale.
Se volete approfondirne la conoscenza, ecco alcuni link utili qui sotto:
ENEC – European Network of Ecodesign Centres