SAN BENEDETTO DEL TRONTO. La voce è quasi baritonale. Impostata, ma non troppo con qualche saltuaria scivolata verso il romano. E poi, ogni tanto, anche qualche termine sambenedettese. Voluto. Per farti capire che malgrado gli anni trascorsi, prima davanti e poi dietro la macchina da presa nella Capitale, la Riviera è ed è sempre stata casa sua. A Nando Angelini, la voglia di metterti a tuo agio, la leggi subito negli occhi. Così come capisci che la somma dei suoi anni (si va per i 91) non ha minimamente scalfito la sua curiosità. E quando vai nella sua casa di Porto d’Ascoli per intervistarlo il primo a fare le domande è lui.
Per intenderci, è uno che ha condiviso il set con Totò, Alberto Sordi, Sandra Milo e che ha sfiorato il “colpaccio” quando era stato scelto per impersonare Dante Alighieri in quello che sarebbe passato alla storia come l’unico vero film sulla Divina Commedia. “Era il treno che stavo aspettando – ricorda – ma alla fine non partì”. Ma per Nando, nato a Porto d’Ascoli, nel comune di Monteprandone, nel non vicinissimo 1933, quella fu forse l’occasione per iniziare la sua seconda vita. Perché di vite, lui, ne ha vissute almeno un paio. A dire poco.
Il viaggio a Roma

“A Roma – ricorda – ci sono finito quasi per caso. Vivevo qui, a Porto d’Ascoli, e mi ero iscritto all’Istituto Tecnico Agrario ad Ascoli. Ma non mi piaceva. Non era per me. Non è che lo sapessi quello che volevo fare ma un giorno sulla Domenica del Corriere leggo di un concorso per entrare al centro sperimentale di Cinematografia a Roma. Decisi di partecipare ma non mi iscrissi per corrispondenza. Andai direttamente lì”.
Homo faber fortunae suae verrebbe da dire ad ascoltarla ora, questa storia. Ma siamo all’inizio degli anni Cinquanta e tutto ciò non era affatto semplice. “Quando arrivai lì – racconta Angelini – mi trovai di fronte ad un segretario che arrivava proprio dalle Marche. Fu lui a spingermi a partecipare come attore perché, all’epoca, non avevo il titolo di studio necessario per fare il regista o lo sceneggiatore”.
Nando entra così nel Centro Sperimentale e finisce poi sul set. E che set verrebbe da dire. Perché basta cercare il suo nome ed essere veicolati su Wikipedia per rendersi conto che in un decennio ha lavorato in decine di film. “In pochi ho parti rilevanti – dice parlando con una certa sufficienza di quella sua porzione di vita che ci ha portato a casa sua -. Ad esempio in “Signori si Nasce” con Totò la mia parte è quella dell’amante di Liana Orfei”.
Sul set con Totò è stato più di una volta, ma anche con Alberto Sordi: “Era simpatico ed era bello lavorare con lui. Mi chiamava “vociò”, per via del mio timbro di voce. Proprio lui che era un baritono. Con Totò lavorare era un po’ più complicato. Quando ti rivolgevi a lui lo dovevi chiamare “Principe”. Poi dovevamo aspettare, con tutta la troupe, che terminasse il suo pisolino. Forse perché erano gli ultimi anni e stava andando in là con l’età ma non era semplice lavorare su quei set”.
Nando trascorre circa undici anni di fronte alla telecamere. “Aspettavo il treno – dice sorridendo -. Tutti mi dicevano che prima o poi sarebbe passato. E io continuavo a lavorare e a partecipare alle varie produzioni. Poi il treno sembrava essere davvero arrivato”.
Il treno di Dante
Siamo nel 1965. Ricorrevano i 700 anni dalla nascita di Dante Alighieri. Un regista, Pietro Francisci, vuole celebrare quella ricorrenza facendo ciò che nessuno aveva mai fatto prima: un film sulla Divina Commedia. “Era specializzato nei film storici, quelli in costume che andavano tanto in quegli anni – spiega Angelini -. Sarebbero stati tre film: Inferno, Purgatorio e Paradiso. E Dante sarei stato io. Sembrava proprio il mio treno”.
Nando mostra un numero de L’Europeo, uno dei più importanti settimanali d’attualità italiani dal dopoguerra fino alla metà degli anni Novanta. Il servizio centrale è proprio sul progetto di questo film. Una foto, a tutta pagina, mostra il suo volto. Di profilo, con il copricapo del Sommo Poeta. “Ma il nome dell’attore non poteva essere Nando Angelini – afferma -. Doveva richiamare la Toscana, così mi presentarono come Jacopo Ristori”.
Il film lo avrebbe prodotto la Cineriz di Angelo Rizzoli. “Così ci trovammo da Rizzoli, che all’epoca era uno dei più grandi produttori cinematografici in circolazione. Eravamo io, il regista e, seduto allo stesso tavolo, nientemeno che Federico Fellini che quel giorno era lì per il famoso film “Il Viaggio di G. Mastorna, detto Fernet “. Famoso perché se ne è parlato tanto ma non ha mai visto la luce.
Così come, purtroppo, anche la Divina Commedia. “Rizzoli era uno che le cose, nel suo mestiere, le capiva al volo – spiega Angelini -. In quelle settimane in tv c’era lo sceneggiato sulla vita di Dante Alighieri. Protagonista era Giorgio Albertazzi. Volle così attendere il responso del pubblico che non fu buono. Bocciata quella serie tv, bocciato il progetto del film. Nemmeno questo era il mio famoso treno”.
La nuova vita

E’ a quel punto che inizia la nuova vita di Nando. “Dovevo continuare ad aspettare il treno? Con la storia del film su Dante c’è stato un momento che sotto casa mia, a Roma, c’erano i giornalisti. Era quasi arrivato, poi non se ne è fatto nulla”. A quel punto arriva la decisione di cambiare vita. Una parentesi teatrale con una compagnia romana al fianco di Manuela Kustermann e poi il passaggio dal lato opposto della cinepresa. “Ero stanco di fare l’attore. L’attore non faceva altro che prendere ordini da chi si trovava dall’altra parte della telecamera. Erano passati oltre dieci anni e non volevo più andare avanti in quel modo”.
Così la svolta: “Avevo deciso di lavorare in televisione e, pur arrivando dal cinema (nel frattempo era anche stato l’assistente di Luigi Zampa nel Medico della Mutua con Alberto Sordi) scelsi la strada dei documentari. Nelle prime fasi di avvicinamento a questo nuovo ruolo ha avuto anche il supporto di Libero Bizzarri. C’era una rubrica che si chiamava «Scuola Aperta» dove si affrontavano problemi nuovi, per quell’epoca, della scuola. Avevo studiato per partecipare a quella trasmissione perché la consideravo una notevole responsabilità. Attraverso la televisione potevamo anche aiutare i ragazzi a scegliere il proprio percorso“.
Rispetto alla carriera di attore iniziava una vita diversa: “Potevo decidere io quello che fare – ricorda -. In Rai ascoltavano anche le nostre proposte e se le consideravano buone ce le facevano mettere in pratica”. E anche qui, Nando Angelini, di soddisfazioni se ne è tolte parecchie. Mostra con orgoglio il premio Moira Orfei ricevuto per un servizio sulla “scuola viaggiante” al seguito dei circhi. “Ci voleva anche un po’ di fantasia a raccontare certe cose e quel servizio era venuto bene perché mi ci sentivo dentro.
Da Roma a San Benedetto e ritorno

Il resto è storia più o meno recente. Alla Rai i contratti erano sempre a termine così, quando dalla Riviera gli giunse la notizia dell’apertura di una televisione privata, Nando decide di tornare a casa. “Un giornalista mi chiese se fossi interessato a collaborare con Tvp e scelsi di lasciare la Capitale. Lì potevo lavorare liberamente, con l’esperienza in Rai mi lasciavano libero di esprimermi”. Nel frattempo Nando, a San Benedetto, aveva anche messo su famiglia. Con la moglie Maria Ripani, maestra d’asilo, ha avuto tre figlie: Simonetta, Emanuela e Paola. Oggi la prima è insegnante, la seconda è una coacher didattica mentre la terza è un’artista. Una pittrice affermata che espone in vari paesi del mondo.
Poi è arrivata la tv berlusconiana. La Fininvest compra le tv private e anche la televisione sambenedettese finisce in quel calderone. “Sarei potuto rimanere – ricorda – ma mi sarei dovuto mettere a fare l’impiegato. Ma io ho sempre lavorato alla parte creativa così sono tornato a Roma”. Altri anni dietro la telecamere per trasmissioni che hanno fatto la storia recente della tv di Stato. Per esempio “Più sani, più belli”. Poi la pensione e il ritorno, definitivo questa volta nei suoi luoghi di origine.
Lo avevamo cercato per fare un amarcord sulla sua carriera di attore. Grazie alla collaborazione della figlia Paola, siamo riusciti a conoscerlo e a scoprire una persona dalla quale imparare molto. Se l’uomo è la somma delle proprie esperienze e il sunto delle scelte fatte, la vita di Nando Angelini rappresenta senz’altro un esempio di rara libertà intellettuale. Passato dal peccato di gioventù dei set cinematografici (egli stesso afferma che quella parentesi è stata anche il “frutto di un po’ di comprensibile esibizionismo giovanile) ad una consapevolezza del proprio ruolo che è andata via via crescendo ma che non lo ha mai visto scendere a compromessi.
Tappa dopo tappa Nando ha plasmato la vita così come la voleva. Oggi, a novant’anni, può guardarsi indietro e vedere un uomo che è sempre riuscito a mantenere la prospettiva delle proprie convinzioni. A scegliere senza mai tradire se stesso. E non è poco, soprattutto in un ambiente come quello nel quale ha lavorato una vita.