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Anima oscura le piante, ecco perché la Grande Opera non s’ha da fare

Pubblicato il 2 Maggio 2014

GROTTAMMARE – La Grande Opera oscurerebbe alcune piante o alberi della zona. C’è anche questo tra i motivi che hanno spinto la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ad inviare all’amministrazione comunale un preavviso di “diniego dell’autorizzazione paesaggistica”. Per la precisione, nel documento si legge che a causa del notevole “impatto del manufatto rispetto al particolare ambito paesaggistico” questo sembra “non inserirsi in maniera congrua in quel contesto, andando a celare e ad obliterare la serie di alberature (compresi olivi e le siepi) esistenti all’estremità della pianura”. Inoltre la Soprintendenza fa sapere che le integrazioni al progetto “sono state recepite in maniera molto sommaria e marginale”. Infine il nuovo soprintendente Stefano Gizzi indica che, entro 10 giorni, si potranno avanzare delle obiezioni al diniego che comportino però la presa in considerazione di una “soluzione che comporti una minore altezza complessiva (dell’opera, ndr) tale da garantire le distanze dei due manufatti rurali, fortemente caratterizzanti quel tipo di paesaggio”.

Quest’ultimo aspetto andrebbe però a stridere con quanto la Soprintendenza aveva stabilito in precedenza. Infatti il 12 maggio 2011 la Soprintendenza aveva infatti avvertito che, tra i due fabbricati rurali presenti nell’area, solamente un edificio avesse valore storico e architettonico e dovesse essere conservato, autorizzandone la traslazione, cioè lo spostamento: nel documento si legge che l’edificio “può essere traslato mediante smontaggio e rimontaggio in posizione prossima all’attuale, mantenendone l’orientamento”. In seguito, il 21 giugno 2011, la stessa Soprintendenza esprime “parere favorevole” alla documentazione progettuale inviata dall’amministrazione, condizionata, però, dalla realizzazione di un impianto fotovoltaico che deve essere “del tipo a bassa riflettenza”. “Fin qui tutto bene – commenta il sindaco Piergallini – parte l’accordo di programma, la macchina si mette in moto, la ditta Malavolta (proprietaria di un’area in zona) inizia gli investimenti per la bonifica del Pai (1,4 milioni di euro) e la Fondazione Carisap si muove stanziando i primi milioni di euro”.

Poi si arriva al 6 marzo 2014, quando la Soprintendenza chiede delle integrazioni progettuali a causa della “genericità della relazione paesaggistica”. “In pratica si chiedevano delle integrazioni per emettere un parere definitivo – continua Piergallini – il progetto rimaneva lo stesso ma ci sollevavano alcune perplessità sulle dimensioni. Noi abbiamo fornito loro 138 pagine che integrano i due faldoni in loro possesso, in meno di una settimana”.

E così siamo arrivati al 30 aprile e al diniego inviato in base alle motivazioni sopraelencate. “Noi rimaniamo basiti – afferma il presidente della Fondazione Carisap, Vincenzo Marini Marini – ma come si può realizzare una costruzione che non copra gli ulivi? Qui si sta giocando con il futuro di un territorio. Dovevano almeno avvertirci prima, perché non è possibile rimettere in discussione 2 anni di progettazione. E’ una presa in giro. Se fossimo una società privata a quest’ora avremmo dovuto chiedere un concordato preventivo e licenziare gli operai. Come si può pensare di eliminare un progetto solo per una siepe e un casale? E’ assurdo”.

Il Comune può controbattere entro 10 giorni ma la questione diventerà politica: “Il dibattito da tecnico si trasformerà in politico anche a livello nazionale, poiché per questa zona fortemente distrutta dalla crisi avere un investimento di 25 milioni di euro significa dare una boccata d’ossigeno alle famiglie e all’economia locale – spiega Piergallini – I politici locali ora dovranno scegliere da che parte stare perché si tratta di difendere un diritto acquisito. In caso di diniego noi faremo valere le nostre ragioni in ogni sede opportuna chiedendo un risarcimento dei danni”.